Pietro Bianchi

Ultima modifica 2 settembre 2024

Mostrando una precoce vocazione giornalistica, collabora dal 1928 come critico cinematografico e redattore della pagina culturale alla Gazzetta di Parma con il capo redattore Cesare Zavattini. Amico di tutti gli intellettuali parmigiani e frequentatore dei caffè letterari, pubblica nel 1935 il suo primo libro "La poesia di Attilio Bertolucci". Nel 1938 fonda il primo cine-club di Parma e il foglio letterario "Il Quadrello", inserto quindicinale della Gazzetta di Parma, e dal 1939 collabora come critico cinematografico alla rivista satirica milanese “Il Bertoldo" per volere di Giovannino Guareschi. Nel dopoguerra si trasferisce a Milano collaborando come critico cinematografico a numerosi quotidiani, fra cui "La Notte", "Oggi", "Il Corriere lombardo", "Il Candido", "Il Giorno", oltre a ricoprire di fatto dal 1950 al 1955 la direzione editoriale della casa editrice Garzanti. Autore di moltissime opere, fra cui "Le signorine di Avignone" (1957), "Storia del Cinema" (1961), "Radiografia di Milano" (1970), "Maestri del Cinema" (1972), "Vaghe stelle dell'Orsa" (1965), "Ludwig" (1973), e di innumerevoli interventi culturali, apporta alla cultura italiana un contributo fondamentale, scoprendo per primo e divulgando l'opera di Marcel Proust e promuovendo autori quali Cesare Zavattini e Bernardo Bertolucci. Fin dalla collaborazione giovanile con la Gazzetta di Parma, Bianchi è a favore di un cinema impegnato come specchio magico della vita. In una stagione disimpegnata della produzione cinematografica (è l'epoca dei "telefoni bianchi"), Bianchi indica per il cinema italiano percorsi ed esperienze innovative fondamentali, promuovendo autori, come Zavattini, che sarebbero diventati protagonisti della stagione del neorealismo. Raffinato uomo di cultura, dotato di intuizione immediata e di folgorante capacità di sintesi, Bianchi ha a cuore soprattutto il suo assiduo lavoro critico sul cinema. Usa la sua estesa cultura per analizzare e svelare quell'intrigante rapporto che è nel cinema tra realtà e finzione, cronaca e invenzione, autenticità e menzogna. Padre del neorealismo, ha costantemente creduto in una sola arte, quella cinematografica, perché "occuparsi di cinema voleva dire innanzitutto cultura, e (...) praticare la critica significava avere la padronanza d'un linguaggio che ne legava diversi, poesia, teatro, letteratura, architettura, pittura, scenografia" (E. Santoro).


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